Ritratti di Castellare
Me ne accorsi molto presto, dopo aver acquistato il Castellare alla fine degli anni 70, che le vendemmie non sono mai uguali. Non solo per il tempo, per il sole o per la pioggia, che comunque le segnano in maniera indelebile, ma sopratutto per il sentimento che domina gli animi a seconda che tutta l’annata, non solo gli ultimi giorni, sia stata buona, cattiva o mediocre. Questa differenza di stato d’animo, dall’allegria viva alla delusione, la si coglie sempre netta sul volto di chi della vendemmia ha la responsabilità ma anche dei semplici vendemmiatori, gente che viene, per 15 giorni diversi, dalle aule dell’università come dalle liste di disoccupazione o dalle rinunce della pensione. Come in una rappresentazione della tragedia greca, anche loro entrano subito nella parte e nell’atmosfera complessiva.
E girando avido di scoperte dal Chianti al Piemonte, dal Bordeaux alla Napa Valley mi accorsi anche, ben presto, che questa variazione di sentimento e di maschera sul volto di chi partecipa alla messa in scena della vendemmia è un fenomeno per così dire trasversale, attraversando il globo a seconda di come nell’annata si sono combinati i vari fattori della produzione. Poi tutto resta sintetizzato nel valore che chi si occupa di vino sa attribuire a quell’annata o, come si dice con più efficacia in inglese, a quel vintage.
Nasce da questa scoperta elementare, ma per me ricca di valore, l’idea di far ritrarre ogni vendemmia dall’occhio magico di un fotografo diverso. Un anno un grande nome, un anno una grande promessa.
Paolo Panerai
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